Permettere un futuro sostenibile attraverso l’Azione Congiunta di Paesi e Comunità: un rinnovato partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile
di Nikhil Seth[1]
Il 2015 sarà un anno cruciale per la questione “sviluppo” all’interno delle Nazioni Unite. I finanziamenti a favore dello sviluppo sostenibile saranno l’argomento principale del tanto atteso accordo di Addis Abeba del luglio 2015. In seguito, nel settembre dello stesso anno, a conclusione di un summit globale sarà adottato un documento contenente gli impegni in tema di sviluppo per il post 2015 e in molti si aspettano che nel dicembre 2015 venga siglato a Parigi un accordo ambizioso in materia di cambiamenti climatici durante la ventunesima sessione della Conferenza delle Parti (COP21), nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (UNFCCC). Questo insieme di accordi costituirà le basi da cui partire per intraprendere nuove azioni, orientamenti e approcci sia per l’uomo che per il nostro fragile pianeta.
L’evoluzione concettuale di tali accordi di sviluppo sostenibile è alquanto importante in quanto questi sono maggiormente incentrati su una struttura integrata e su un tipo di attuazione che richiede un massiccio coinvolgimento delle parti. Nelle parole del Segretario Generale, il 2015 fornirà “un’opportunità necessaria per coniugare l’agenda generale delle Nazioni Unite con gli obiettivi ad essa inestricabilmente interconnessi e interdipendenti nei settori di pace e sicurezza, sviluppo e diritti umani”. Di pari importanza è la volontà di intervenire a livello universale sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo. La garanzia di prosperità, sicurezza e sostenibilità globali non può essere più assicurata dai flussi di concessioni da parte degli stati più ricchi, piuttosto deve basarsi su azioni multilaterali, coinvolgenti tutti gli stati del mondo. Le politiche domestiche dei paesi più ricchi diventano una parte integrante per supportare la realizzazione dell’agenda per lo sviluppo.
Saranno gli attuali impegni presi da governi, istituzioni ONU, settore privato, società civile e studiosi a determinare il successo o il fallimento della nuova agenda; queste sono le basi per un rinnovato partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.
Gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable development goals – SDG), parte fondante dell’agenda di sviluppo sostenibile per il post-2015, sono composti da 17 ambiziosi obiettivi e 169 target proposti dal gruppo di lavoro aperto dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. I SDG garantiranno che i principi stabiliti dagli Obiettivi di sviluppo del Millennio (Millennium Development Goals – MDG) siano perseguiti fino al 2030; tuttavia, la loro portata è molto più ampia dei MDG in quanto coinvolgono popoli e nazioni da ogni parte del mondo, superando confini geografici ed economici.
I 17 SDG e i 169 target sono stati pensati per garantire un ambiente fisico ed economico favorevole agli uomini, ovunque essi si trovino, e in grado di assicurare istruzione e opportunità di lavoro per formare dei sani e produttivi cittadini del futuro.
I SDG mirano a diminuire le disuguaglianze, porre fine alla povertà, risanare e salvaguardare l’ambiente ma anche a creare società senza guerre basate sulla giustizia; e soprattutto definiscono le modalità di attuazione di tali principi, tra cui finanziamenti, aiuti, commercio, debito, tecnologia e sviluppo delle competenze attraverso un rinnovato partenariato (SDG 17), in assenza dei quali nessun altro obiettivo potrebbe essere realizzato.
Il rinnovato partenariato mondiale per lo sviluppo del SDG 17 comporta la condivisione tra stati e comunità di una visione comune dello sviluppo sostenibile e un impegno convinto a fornire i mezzi tecnologici e finanziari per trasformare in realtà questa stessa visione.
I requisiti finanziari e tecnologici necessari per portare avanti questa trasformazione costituiranno un aspetto fondamentale di tutte le questioni relative allo sviluppo. Siano essi pubblici o privati, su scala nazionale o globale, per riuscire a soddisfare le richieste in materia, i finanziamenti devono essere considerevoli. Altrettanto importante sarà la capacità di mettere la scienza e la tecnologia al servizio dei meno abbienti nell’ottica di uno sviluppo sostenibile.
Il nuovo partenariato farà tesoro dell’esperienza del MDG 8 (Sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo), previsto dalla Dichiarazione del Millennio, dalla Conferenza Internazionale sui Finanziamenti allo Sviluppo tenutasi nel 2002 a Monterrey (Messico) e anche dal Summit Mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, Sud Africa.
Il MDG 8 è servito a stimolare il sostegno per i MDG e mobilitare le risorse, evidenziando in primo luogo la responsabilità dei donatori abituali. Inoltre, la maggiore cooperazione sud-sud ha aperto la strada a opportunità concrete per i paesi in via di sviluppo in fase di transizione verso obiettivi individuali e collettivi di crescita economica sostenuta e per lo sviluppo sostenibile.
Allo stesso tempo, il MDG 8 ha perpetuato relazioni di tipo “donatore-ricevente”, senza prestare la giusta attenzione ad attivare altri tipi di finanziamenti oltre agli aiuti. Tra gli altri limiti del MDG 8 ricordiamo l’impegno insufficiente su una serie di questioni come aiuti, commercio, cancellazione del debito, accesso ai medicinali di base, IT e comunicazioni. Un’altra debolezza è la mancanza di un sistema strutturato associato al MDG 8, che vigili sulla trasparenza per assicurare il raggiungimento degli impegni presi.
Nel post 2015, la cooperazione per lo sviluppo deve diventare più efficace e i suoi principi base devono essere ulteriormente codificati a livello internazionale. Bisogna porre l’attenzione sulla qualità delle risorse disponibili, le quali devono essere più stabili, prevedibili e incondizionate. Perciò, il rinnovato partenariato mondiale deve partire dal Partenariato di Busan per un’efficace cooperazione allo sviluppo del 2011, promuovere una visione condivisa di cooperazione allo sviluppo efficace, che abbia delle solide radici nelle politiche di sviluppo di ogni stato e che comprenda appieno quali sono i criteri utilizzati in tutti i paesi per definire efficace la cooperazione allo sviluppo.
La natura integrata dello sviluppo attualmente richiede di andare oltre la classica divisione nord-sud tra fornitori e riceventi aiuti allo sviluppo. Il partenariato mondiale richiede certamente un aiuto pubblico allo sviluppo (ODA) più costante, come fonte vitale del finanziamento allo sviluppo, specialmente per i paesi più vulnerabili. L’obiettivo di raggiungere come ODA lo 0,7% di reddito interno lordo in modo tale da giovare a questi paesi va portato a termine in tempi brevi.
Contemporaneamente, il partenariato mondiale deve anche poter contare su investimenti e finanziamenti innovativi sia a livello nazionale che internazionale, garantendo livelli sostenibili di debito, creando abilità e competenze, promuovendo e fornendo accesso al commercio e permettendo ai singoli paesi di determinare le proprie politiche economiche liberamente.
Il rinnovato partenariato mondiale deve prevedere inoltre un’ampia gamma di attori pubblici e privati o provenienti dalla società civile. La cooperazione deve rappresentare gli interessi di tutti gli attori principali, inclusi coloro i quali hanno accesso limitato ai processi decisionali nazionali e internazionali e dovrebbe essere interamente gestita e guidata da paesi e comunità che devono avere voce in capitolo per quanto concerne la sua formazione e attuazione.
La cooperazione deve garantire una certa logica dello sviluppo, includendo una serie di fonti di finanziamento e affrontando le questioni più serie che sono alla base dello sviluppo sostenibile per tutti.
Il suo sostegno alla condivisione di risorse, conoscenze e capacità deve essere efficace.
Nel post 2015, le priorità e le risorse dovrebbero mirare ad aumentare le capacità dei paesi in via di sviluppo di mobilitare fondi interni, espandere le infrastrutture economiche, migliorare la capacità di produzione, allargare la portata dei servizi sociali di base di primo livello, affrontare la questione dei cambiamenti climatici e dei suoi effetti, promuovere una crescita economica rapida e inclusiva, garantire cibo per tutti, eliminare la povertà e promuovere società senza guerre basate sulla giustizia.
Tutti i paesi e le comunità, avendo un obiettivo comune ma diverse capacità in termini di risorse e punti di forza, devono rispettarsi maggiormente e concentrarsi sull’agenda mondiale comune prevista da “The future we want”, documento conclusivo della conferenza Rio+20 che si è svolta nel giugno 2012 in Brasile, a Rio de Janeiro.
I risultati già raggiunti dovrebbero essere la base da cui partire per mettere in pratica il partenariato mondiale rinnovato. I paesi in via di sviluppo devono rafforzare le proprie capacità statistiche e di raccolta dati in modo da poter monitorare i progressi nazionali e l’affidabilità verso gli impegni per lo sviluppo. I cittadini devono essere messi in condizione di poter lavorare e bisognerebbe rafforzarne i metodi di impiego. Su scala globale, l’aspettativa è che il Forum politico di alto livello sullo sviluppo sostenibile, sotto l’egida dell’Assemblea generale e del Consiglio economico e sociale, possa svolgere un ruolo fondamentale in relazione al monitoraggio dei livelli di progresso raggiunti e contribuisca ad aumentare l’affidabilità verso gli impegni assunti per lo sviluppo.
Infine, nell’ambito del partenariato mondiale per lo sviluppo, gli attori pubblici e privati devono promuovere collaborazioni a ogni livello, l’una a completamento dell’altra. Le collaborazioni globali e regionali devono avere il loro punto d’incontro nei vibranti poli di conoscenza e informazione che esistono all’interno del sistema UN e oltre, laddove gli attori entrano in contatto per interessi comuni e possibilità, per dare forma e rafforzare gli impegni presi per uno sviluppo sostenibile a tutti i livelli. Alcune di queste cooperazioni tra più attori ha fatto confluire l’attenzione su tematiche specifiche, con risultati estremamente positivi. The Global Fund, la GAVI Alliance, Every Woman, Every Child e Sustainable Energy for All sono solo alcuni esempi di gruppi creati per affrontare una tematica specifica. Tale modalità di lavoro deve prendere piede per riuscire a coprire tutte le tematiche presenti nell’agenda dei SDG.
Uno dei problemi che la nuova cooperazione per lo sviluppo ha deciso di affrontare è la continua richiesta di cambiamenti proveniente dal mondo di oggi: dall’interazione nord-sud ad attività universali, dalla creazione di un nuovo contesto politico all’attuazione degli accordi da concludere nel 2015, un cambiamento verso un monitoraggio e controlli più incisivi, ma soprattutto verso la fiducia e l’ottenimento di benefici reciproci.
Il fondamento di queste sfide è la volontà di intraprendere tali controlli e monitoraggi sulla base dei fatti. Senza una rivoluzione nella raccolta e nell’ analisi dei dati non è possibile andare avanti in un settore in cui avere i dati a portata di mano è essenziale e aiuta a rafforzare delle capacità che ogni paese richiede. Tutti gli enti multilaterali devono concentrare le proprie analisi in primo luogo sui dati esistenti e poi sui buchi di informazione presenti tra di essi. È necessario uno sforzo cruciale per sviluppare le capacità di raccoglimento, esaminazione e utilizzazione dei dati esistenti, al fine di rafforzare i processsi decisionali dei governi nazionali e degli enti multilaterali. I SDG insieme ai loro target e agli indicatori forniranno il contesto globale nel quale inserire tali sforzi, a livello regionale, nazionale e globale.
Non è necessario dar vita a nuove organizzazioni internazionali, quello che bisogna fare, invece, è modificare il modo in cui lavorano quelle già esistenti. Integrazione, applicazione, processi decisionali basati sui fatti, come anche l’attenzione alle necessità tecnologiche e al tema dei finanziamenti dovrebbero costituire le basi dell’agenda, delle attività legali e operative a livello nazionale, supportate da un partenariato multilaterale migliorato.
Pubblicato in principio sul UN Chronicle, Dipartimento di informazione Pubblica, Nazioni Unite.
[1] Direttore della Divisone per lo Sviluppo Sostenibile, Dipartimento di Affari Sociali ed Economici presso le Nazioni Unite.