I giornalisti di New Humanitarian stanno monitorando gli effetti della pandemia sulle comunità più vulnerabili, su coloro che vivono nei campi per rifugiati e nei paesi in cui imperversano conflitti armati.
Mentre la pandemia si espande in tutto il mondo, il suo impatto negativo comincia a influenzare anche le operazioni umanitarie volte ad arginare le crisi generate da conflitti e disastri naturali.
Il 25 marzo l’ONU ha lanciato un appello globale senza precedenti, chiedendo 2 miliardi di dollari per affrontare il coronavirus nei paesi maggiormente colpiti da umanitarie. Si chiede che gli Stati Membri e altri donatori non ritirino Ie risorse già impegnate in operazioni umanitarie considerate vitali per paesi già colpiti da crisi di lungo periodo.
La rapida evoluzione della pandemia sta spingendo la comunità internazionale a pianificare nuove azioni strategiche in questi paesi, ridisegnando la distribuzione delle risorse su scala globale. Di seguito, una breve sintesi degli aggiornamenti:
AFRICA
Corno d’Africa
In aumento le restrizioni che riguardano il viaggio, il numero del personale umanitario e il settore sanitario. Lo stop legato alla catena degli approvvigionamenti causato dal coronavirus nei vari paesi di quest’area potrebbe accrescere le tensioni causate dalle difficoltà economiche, scatenando nuovi conflitti.
Kenya
Il direttore di una ONG internazionale ha dichiarato che il COVID-19 ha gravemente interrotto alcune operazioni umanitarie nel paese. Nei campi per rifugiati di Dadaab e Kakuma, che ospitano oltre 493.000 persone, il personale ora dipende molto di più dal ruolo svolto dai rifugiati volontari che supportano le attività giornaliere. “Abbiamo investito in maschere, guanti e servizi igienico-sanitari per i rifugiati volontari”, ha detto il direttore del campo. I trasporti per entrare nei campi sono stati grandemente ridotti.
Africa meridionale
Una crisi alimentare sta colpendo decine di milioni di persone. Il Sudafrica, che è il centro portuale e logistico principale della regione, ha chiuso 35 dei 49 varchi di frontiera. Secondo i partner internazionali, garantire che i prodotti alimentari continuino a circolare nei paesi di quest’area è una priorità assoluta. Per ora, il governo sudafricano ha assicurato che il World Food Programme(WFP) non sarà influenzato da blocchi e chiusure di frontiere. Questo aspetto è fondamentale perché il WFP sostiene l’alimentazione di circa 20 milioni di persone nella regione.
Il 23 marzo, il governo ha annunciato la chiusura di tutti gli aeroporti e delle frontiere. Sono esclusi dal divieto i voli che portano merci e quelli impegnati in operazioni di soccorso, nonché i furgoni e le petroliere. Tutti i conducenti devono sottoporsi a esami medici alla frontiera. Le operazioni di peacekeeping dell’ONU hanno congelato per sette giorni tutti i viaggi non essenziali nel Sud Sudan.
Uganda
Il 25 marzo, l’Uganda ha annunciato misure temporanee per impedire l’arrivo di nuovi rifugiati e richiedenti asilo. Anche i centri di transito e di accoglienza saranno chiusi. I voli in entrata e in uscita dal paese sono stati bloccati e le frontiere chiuse a seguito di un primo caso di COVID-19. L’Uganda ospita attualmente circa 1,4 milioni di rifugiati, principalmente provenienti dal Sud Sudan e dalla Repubblica Democratica del Congo.
Burkina Faso
Gli operatori umanitari stavano già fronteggiando un’enorme emergenza per fornire assistenza a quasi 800.000 sfollati che vivono in aree difficili e remote del Burkina Faso. Le operazioni volte a supportare la popolazione diventano ogni giorno più ardue, mentre i casi di coronavirus sono in continuo aumento. Alla data del 26 marzo, il paese aveva registrato più di 140 casi, il secondo per numero di casi nell’Africa subsahariana.
Repubblica Democratica del Congo
Il 24 marzo è stato dichiarato lo stato di emergenza dal governo a seguito di un deciso aumento del numero di casi di COVID-19 nella sovraffollata capitale di Kinshasa. Le frontiere sono state chiuse e i voli interni sono stati bloccati. Ciò potrebbe creare problemi per gli operatori umanitari che volano regolarmente da Kinshasa verso le zone del paese coinvolte nei conflitti armati.
Repubblica Centrafricana
MINUSCA, la missione di pace dell’ONU, ha annunciato la sospensione della rotazione dei caschi blu. È stato inoltre lanciato un appello ai residenti affinché cessino la “stigmatizzazione” nei confronti degli stranieri – un fenomeno che potrebbe impedire agli operatori umanitari stranieri di lavorare, in particolare, nella capitale Bangui. I gruppi armati, che avevano già firmato un accordo di pace nel 2019, sono stati invitati a interrompere le ostilità per prevenire l’ulteriore diffusione del COVID-19.
ASIA
Bangladesh
Il 25 marzo le autorità del Bangladesh hanno ordinato la sospensione di tutte le operazioni di soccorso, a eccezione dei servizi essenziali, nei campi per rifugiati dei Rohingya. Questi servizi si occupano di salute, nutrizione, diffusione di informazione, promozione dell’igiene, e accoglienza per i nuovi arrivati. Le scuole all’interno del campo sono state chiuse e le autorità hanno esortato i rifugiati Rohingya a rimanere a casa. I campi rifugiati Rohingya sono una delle principali preoccupazioni per il settore umanitario. Questi insediamenti, molto affollati, ospitano circa 900.000 persone, e sarà molto difficile garantire il distanziamento sociale necessario per prevenire l’espansione del contagio.
Afghanistan
Circa 9,4 milioni di afghani ricevono assistenza umanitaria e la pandemia potrebbe compromettere i servizi di assistenza di base. Le regioni confinanti con altri paesi sono il principale motivo di preoccupazione – sia per il contenimento del virus, sia per il proseguo delle operazioni umanitarie che si occupano di mitigare conflitti e i disastri naturali, facendo fronte al contempo all’approvvigionamento alimentare in tutto il paese. Più di 62.000 afghani hanno attraversato il confine con l’Iran tra il 15 e il 21 marzo, mentre l’area occidentale affronta uno dei più grandi focolai di coronavirus del mondo. Il Pakistan – confinante a sud con l’Afghanistan – ha chiuso le frontiere, interrompendo le principali vie di approvvigionamento per gli aiuti diretti alla popolazione afghana. Il Pakistan aveva accettato di consentire un certo numero di trasporti commerciali e umanitari, ma la situazione è in constante evoluzione.
Pakistan
La chiusura delle frontiere con l’Afghanistan ha ridotto il numero di cittadini afghani che stavano rimpatriando. L’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, l’UNHCR, ha sospeso il suo programma di rimpatrio volontario per i rifugiati registrati.
Filippine
Il governo ha imposto rigide forme di quarantena locale per contenere la diffusione del virus. Queste nuove norme stanno ritardando una serie di programmi sanitari già in atto e non relativi alla nuova pandemia, quali la campagna di vaccinazione contro la poliomelite.
C’è grande preoccupazione per la regione meridionale del Mindanao, dove sono presenti più di 300.000 rifugiati a causa di conflitti e disastri naturali. Gli attori umanitari stanno cercando di attuare programmi per sostenere economicamente e immediatamente la popolazione, ma il loro personale è sottoposto a rigide misure di quarantena o isolamento a causa dell’aumento dei casi COVID-19.
Un gruppo armato ribelle ha annunciato il cessate il fuoco con il governo filippino il 24 marzo a seguito dell’appello lanciato dal Segretario dell’ONU António Guterres.
Corea del Nord
La Corea del Nord è stata uno dei primi paesi a chiudere i propri confini dopo che il coronavirus ha colpito la Cina in gennaio. Le restrizioni di viaggio causate dal coronavirus hanno frenato la circolazione di nuovo denaro nel paese. La Croce Rossa ha scritto che le restrizioni hanno fermato il “trasferimento fisico dei fondi”, causando “vincoli di denaro.” Tutto ciò ritarderà i rifornimenti per le operazioni umanitarie volte a mitigare gli effetti del tifone di settembre Lingling almeno fino al mese di maggio.
EUROPA
Mediterraneo
La Sea-Watch 3 e la Ocean Viking sono state le ultime due navi di ricerca e soccorso delle ONG operanti nel Mediterraneo centrale a sospendere le operazioni a causa delle difficoltà logistiche causate dall’emergenza coronavirus in Italia. Questa è la rotta migratoria più frequentata tra Libia e l’Italia, dove almeno 10.000 persone sono annegate dal 2015 fino ad oggi. Con la soppressione delle missioni di soccorso umanitario dal 27 febbraio, aumenta il rischio di perdere altre vite in mare.
L’epidemia di coronavirus in Italia sta testando un sistema sanitario esteso a decine di migliaia di migranti e richiedenti asilo.
Grecia
L’emergenza causata dal COVID-19 si è espansa in Grecia mentre il paese affrontava enormi sfide migratorie su due fronti: quello turco, dove migliaia di persone si sono radunate dopo che il Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato che stava aprendo le frontiere dell’UE; quello delle isole dell’Egeo, dove la pressione sui centri di detenzione già sovraffollati stava raggiungendo un punto di rottura. Le autorità greche sono state accusate di aver usato la violenza per respingere i migranti e i richiedenti asilo che hanno cercato di attraversare il confine. Nel frattempo, è stato sospeso il trasferimento di 1.600 bambini non accompagnati dalla Grecia a sette paesi dell’UE.
MEDIO ORIENTE
Libano
Le ONG che lavorano in Libano sono concordi nell’affermare che il blocco del paese, combinato con una crisi economica che si protrae da mesi, sta riducendo la loro operatività nel fornire aiuti a circa 1,5 milioni di rifugiati siriani presenti nel paese. Le scuole sono chiuse così come molti programmi per bambini e vittime di violenza sessuale e di genere. Diverse ONG hanno interrotto le proprie attività su base giornaliera.
Libia
Le autorità del governo hanno annunciato il primo caso confermato del paese il 24 marzo. Una “pausa umanitaria” per combattere la minaccia del COVID-19 è stata dichiarata a metà marzo dal governo di Tripoli e le forze orientali di Khalifa Haftar, in conflitto dall’aprile 2019. L’ONU ha annunciato il 17 marzo che avrebbe interrotto alcune attività quali il trasferimento dei rifugiati a causa delle restrizioni legate all’emergenza sanitaria.
Territori palestinesi occupati
Sia la Cisgiordania che Gaza hanno registrato casi di COVID-19, sollevando preoccupazioni circa una possibile rapida diffusione – in particolare in quest’ultimo territorio, dove gran parte dei 1,9 milioni di abitanti vive in campi profughi e aree urbane densamente popolate.
Quarantena e coprifuoco riguardano entrambe le aree. Molte attività produttive sono state sospese e le scuole sono chiuse. Secondo le Nazioni Unite, queste misure, insieme al sovraffollamento e all’incertezza, “potrebbero aumentare la sofferenza mentale e psicosociale, in particolare tra i bambini, così come la violenza di genere.”
Siria
Dopo nove anni di guerra, si stima che 11 milioni di persone abbiano bisogno di aiuto all’interno del paese, tra queste circa un milione che sono recentemente fuggite a causa dei conflitti scatenati negli ultimi mesi dalle forze governative nel nord-ovest. L’impatto dell’emergenza COVID-19 varia a seconda delle zone, in quanto alcune sono controllate dai ribelli, altre dalle autorità curde o dalle truppe del presidente Bashar al-Assad. Le scuole sono chiuse, comprese quelle nei campi dei rifugiati. La maggior parte delle iniziative e dei programmi di protezione che forniscono sostegno sono sospesi.
Iraq
Circa 1,4 milioni di persone sono ancora senza fissa dimora a causa dei conflitti scatenati dall’ISIS. Già nei mesi precedenti, le organizzazioni internazionali avevano affrontano grandi difficoltà nel raggiungere le popolazioni a rischio a causa del conflitto tra il gruppo terroristico e il governo.
Le nuove restrizioni causate dal COVID-19 stanno fortemente limitando le possibilità di movimento degli operatori umanitari. L’OCHAha affermato che alla fine di febbraio il governatore di Salah al-Din, a nord di Baghdad, ha vietato l’ingresso nella provincia ai cittadini stranieri, compresi gli operatori umanitari.
Yemen
Non sono ancora stati confermati casi di COVID-19. Il paese affronta da circa cinque anni una guerra sanguinosa. Circa 24 milioni di persone necessitano di aiuti umanitari per sopravvivere. Un nuovo divieto di voli in entrata e in uscita dallo Yemen sta ridimensionando il numero degli operatori umanitari sul territorio, impedendo altresì l’evacuazione delle persone malate dal paese.
AMERICHE
Venezuela e Colombia
La chiusura del confine con la Colombia sta suscitando forti preoccupazioni per i cittadini venezuelani che facevano affidamento sulle zone confinanti per l’acquisto di medicinali.
Gli operatori sanitari hanno informato la comunità internazionale dello stato di vulnerabilità di oltre 1.7 milioni di migranti venezuelani che ora risiedono in Colombia. Le fasce più a rischio risiedono in Venezuela dove la grave crisi economica ha causato l’esodo del personale medico, creando enormi carenze nel sistema sanitario.
Confine tra Stati Uniti e Messico
Oltre 60.000 richiedenti asilo si trovano in Messico, nei pressi del confine con gli Stati Uniti, in attesa che le loro richieste vengano valutate. Gli USA hanno ritardato le udienze giudiziarie per le persone che avrebbero dovuto essere ascoltate prima del 22 aprile, un’azione che ha interessato circa 25.000 casi.
Con l’aumentare del numero di casi COVID-19 in Messico, gli esperti hanno espresso seria preoccupazione per la diffusione del virus nei campi che ospitano i migranti nel nord del paese, dove c’è forte carenza di assistenza medica e di materiale sanitario.
Haiti
I primi casi di COVID-19 sono stati registrati nell’ultima settimana. Haiti è il paese più povero dell’emisfero occidentale. Mesi di proteste contro la corruzione e il continuo aumento dei prezzi degli alimenti e del carburante hanno messo in crisi la stabilità politica. Il governo ha applicato il blocco delle attività generali nel paese, ma l’attuazione di questa misura è poco praticabile: moltissimi cittadini vivono nelle baraccopoli della capitale Port-au-Prince.
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Foto: The New Humanitarian