L’effetto deflagrante della pandemia sulla gestione dei migranti in Italia: “long covid” sociale tra confini sbarrati e regolarità in caduta.

Un abitante ogni trenta nel mondo è un migrante. Il 2020 è stato un anno di frontiere chiuse, mobilità ridotta e difficoltà negli spostamenti, ciò nonostante, i migranti nel mondo sono aumentati di 9 milioni rispetto all’anno precedente. Le migrazioni si confermano un fenomeno in costante crescita da almeno un ventennio ma per l’ultimo anno si contano numeri record: 82 milioni di migranti forzati, 30 milioni di sfollati ambientali e 169 milioni di migranti economici.

Questi i dati rivelati dal Dossier statistico immigrazioni 2021 – realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS, in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di Studi Politici “S. Pio V” – durante la presentazione piemontese di sabato 19 febbraio, alla sala SOMS di Vercelli. I numeri del Dossier hanno acceso l’attenzione sulle problematiche nella gestione della migrazione in periodo pandemico: dal blocco dei confini, fino alle stringenti normative italiane, con focus sui problemi occupazionali e la povertà abitativa degli stranieri.

 “Il quadro migratorio è stato sconvolto dalla pandemia. L’Italia, già in stabile declino demografico, nel 2020 ha registrato anche il calo più alto della popolazione straniera da 20 anni a questa parte: in un solo anno il Paese ha perso quasi 200mila abitanti e i residenti stranieri sono diminuiti di 26.422 unità – ha spiegato Luca Di Sciullo, presidente IDO, durante l’incontro organizzato da CGIL Valsesia VercelliGuardando alla differenza tra nati e morti si registra un saldo naturale della popolazione totale negativo per 342.042 unità: se la tendenza si confermasse, rischieremmo di perdere un milione di abitanti ogni tre anni”. La situazione sanitaria ha fortemente influito sul numero di decessi che, in tutto, sono stati 746.000, 111.700 in più rispetto all’anno precedente. Le cause del calo di residenti stranieri sarebbero invece da attribuirsi alla diminuzione dei nuovi nati che sono il 5,6% in meno rispetto al 2019, e l’incremento dei morti (+25,5%).

A causa del blocco degli spostamenti, il numero di ingressi stranieri nel nostro Paese nel 2020 è diminuito del 33% rispetto all’anno precedente. Nel caso dei cittadini non comunitari, all’inasprimento delle frontiere si è aggiunto il rallentamento nella gestione delle pratiche amministrative: “Le norme per lo status di regolarità in Italia sono molto limitative: abbiamo leggi obsolete, riviste sempre in senso restrittivo. Con la chiusura degli Uffici Pubblici e degli sportelli per il rilascio e il rinnovo permessi di soggiorno, la situazione si è ulteriormente complicata. Molti migranti sono sprovvisti degli strumenti per accedere ai servizi online o hanno difficoltà con i siti in lingua italiana e le procedure. Ciò ha impedito anche l’iscrizione a servizi essenziali: in primis l’inserimento scolastico e l’adesione al servizio sanitario nazionale. Il calo è dunque riconducibile in parte alla diminuzione dei nuovi ingressi dall’estero e, in parte, a un loro scivolamento nell’irregolarità”, ha ribadito il Dott. Di Sciullo.  Il ribasso di presenze regolari, fa dunque da contrappeso ad un netto aumento di irregolarità alimentate da nuovi provvedimenti  – come l’abolizione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, la durata limitata dei permessi speciali, la lievitazione dei costi per le pratiche – tutti fattori che, abbinati agli sconvolgimenti economici, occupazionali e amministrativi dell’emergenza da Covid, hanno concorso a “rendere drasticamente più labile il già precario status giuridico dei non comunitari”.

Anche nel mercato del lavoro, la pandemia ha prodotto un eccezionale calo dell’occupazione complessiva; il numero degli occupati stranieri nel 2020 si è ridotto del 6,4%(- 1,4% per gli italiani). Si è inoltre cronicizzato il modello lavorativo che da anni vede i lavoratori stranieri relegati ai margini del mercato occupazionale, con lavori tendenzialmente meno qualificati e meno retribuiti. La categoria più penalizzata dalla pandemia risulta essere quella delle donne straniere che, da sole, coprono quasi un quarto della perdita totale di posti di lavoro (24%): i dati mostrano una diminuzione dell’occupazione quasi 3 volte superiore rispetto agli immigrati uomini e oltre 6 volte superiore alle donne italiane. A ciò si aggiunge che la metà delle migranti lavora in sole tre professioni: collaboratrici domestiche, badanti, addette alla pulizia di uffici ed esercizi commerciali e ben il 39,7% è un’addetta ai servizi domestici o di cura: “Le assistenti familiari e le lavoratrici del sistema socio-sanitario hanno pagato un caro prezzo anche in termini sanitari e di esposizione al contagio da Covid-19 –  ha confermato Di Sciullo – La sindemia ha incrementato il rischio connesso al caregiver’s burden, ossia l’impatto del lavoro di assistenza sul benessere psico-fisico e sulla qualità̀ della vita delle collaboratrici familiari”.

Gli effetti della pandemia hanno ulteriormente precarizzato le difficili condizioni sociali, economiche e lavorative della popolazione, colpendo in maniera particolarmente dura le categorie più fragili. Nel 2020, gli stranieri in condizioni di povertà assoluta sono arrivati a 1,5 milioni, il 29,3% dei 5 milioni complessivi che risiedono in Italia – un’incidenza circa quattro volte superiore al 7,5% rilevato tra gli italiani – e il 26,8% dei 5,6 milioni di poveri assoluti nel Paese. In tal senso, il Presidente IDOS ha ribadito la necessità di un accesso paritario ai sussidi: “Nel PNRR non si parla di stranieri, tuttavia, molti rimarranno esclusi da forme di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà: assegnazioni di alloggi popolari, buoni mensa, bonus bebè, reddito di cittadinanza assegni sociali; ciò accadrà per una serie di vincoli giuridici illegittimi – residenze pluriennali, titoli di soggiorno di lunga durata, produzione di documenti sullo stato patrimoniale e reddituale all’estero – che impediscono di accedere ai servizi”.

Intervenuto sulle problematiche relative all’integrazione, in periodo Covid e non solo, anche il Dott. Federico Daneo del Centro Piemontese di Studi Africani: “Bisogna innanzitutto rivedere la narrativa della migrazione: non c’è nessuna invasione in corso e la stragrande maggioranza dei numerosi migranti nel mondo si sposta in un paese confinante, senza raggiungere l’Occidente. Dobbiamo proporre un nuovo protagonismo della diaspora accogliente: gli stranieri in Italia non devono essere solo mediatori culturali e non possono essere estromessi dal dialogo istituzionale. Coinvolgere la diaspora in prima persona permetterebbe di ottenere un punto di vista vero, originale, accrescente sull’integrazione”.

Gli organizzatori del convegno della CGIL piemontese hanno invece posto particolare attenzione alla questione occupazionale e alla povertà abitativa dei migranti; il 2020 ha infatti mostrato dati preoccupanti: oltre ad un generico crollo delle compravendite, si è registrato un calo record nel fatturato delle compravendite di stranieri, precipitate ai minimi storici sia nel numero (26.000: -52,7%), sia nell’incidenza sulle compravendite totali (4,8%: -4,1 punti percentuali), sia nel fatturato totale (2,2 miliardi di euro: -54,2% rispetto al 2019). Solo il 21% ha una casa di proprietà, il 61% vive in affitto (percentuali quasi invertite per gli italiani), mentre la restante parte abita presso il datore di lavoro o coabita con connazionali. In picchiata anche lo standard di media per l’abitazione degli stranieri: 55 metri quadrati e in periferia con tutti i rischi di una maggiore ghettizzazione e segregazione urbanistica. “Il 2020 è stato anno durissimo che ha severamente colpito l’economia mondiale, contratto l’occupazione, paralizzato per lungo tempo la mobilità e modificato profondamente la vita sociale e le relazioni interpersonali, costringendo a mettere in questione gli stili di vita in tutti gli ambiti della quotidianità. Come ogni crisi costituisce però un’opportunità̀ preziosa per riformare in ottica più̀ strategica e costruttiva politiche migratorie e di integrazione ormai largamente anacronistiche e inefficaci, sbloccando finalmente il passaggio dalle buone proposte alle policy – chiude la presentazione del dossier – riforme che prevedano la stabile apertura di corridoi umanitari protetti, quote d’ingresso effettivo per lavoratori stranieri commisurate ai reali fabbisogni di manodopera, la riforma della legge sulla cittadinanza per le nuove generazioni, meccanismi di regolarizzazione ordinaria e su base individuale, canali di ingresso per ricerca lavoro, accordi previdenziali con i Paesi di origine degli immigrati. Politiche, insomma, che valorizzino molto meglio e appieno tutte le potenzialità̀ dell’immigrazione. Ne gioverebbero il bene davvero comune e l’intero sistema Paese.”.