La mia prima esperienza con l’Armenia è cominciata lo scorso ottobre. Fino a quel giorno non mi ero mai posto il pensiero di identificare su una mappa geografica l’esatta ubicazione di quel paese con una lunga storia, terra di monasteri, teatro di guerre ed invasioni, incastrato tra la Georgia, l’Iran, l’Azerbajan e la Turchia. Partiti all’alba da Torino, dopo un lungo scalo a Parigi, nella tarda serata siamo atterrati a Erevan, la capitale, dove eravamo attesi da Padre Mario, un camilliano che vive in Armenia da molti anni, responsabile amministrativo di un ospedale nella regione di Ashotsk, che si occupa della distribuzione di generi di prima necessità ad una popolazione i cui livelli di indigenza crescono continuamente.
Nel corso del tragitto che nella notte ci ha portato a Ashotsk, cittadina su un altopiano ai confini con la Georgia, con temperature che sfiorano 30° in estate e meno di 40° in inverno, abbiamo abbandonato le luci sfavillanti e il lussuoso e caotico traffico della capitale, per immetterci su strade dissestate e poco illuminate, attraversate da volpi ed altri piccoli animali, e grossi e malandati camion diretti e provenienti dalla Georgia, qualche macchina di produzione russa. In lontananza qualche luce, case diroccate ed abbandonate, vecchie e decadenti costruzioni e fabbriche russe dismesse.
Nei pochi giorni di permanenza in quel piccolo stato grande come il Piemonte, con poco più di tre milioni di abitanti e immerso tra i monti nel Sud del Caucaso, abbiamo avuto il privilegio di stare vicino a suor Noelle e a padre Mario, che operano all’interno dell’ospedale dove i pazienti vengono curati gratuitamente (un’isola felice nel decadimento generale) e nei villaggi sperduti, dove distribuiscono piccole somme di denaro, vestiario e cibo. Padre Mario e suor Noelle aiutano e soccorrono in molti villaggi le persone che vivono nella miseria più assoluta e che senza di loro non avrebbero vestiti né cibo da mangiare. Questo straordinario uomo si accolla sia le spese per assicurare la frequenza scolastica ai bambini sia per favorire il piccolo allevamento di bestiame, garantendo l’acquisto di latte e carne da parte dell’ospedale.
Con padre Mario abbiamo percorso centinaia di chilometri su strade e sentieri pieni di insidie, con lui abbiamo raggiunto tanti piccoli sobborghi, molti dei quali colpiti dal terremoto alla fine degli anni ’80. Lì la gente vive ancora nelle baracche, miseri ripari con tetti in eternit, al cui interno non c’è niente: non ci sono sedie, poltrone, quadri, o tavole imbandite. L’ acre odore del letame pressato e seccato durante le torride estati per riscaldare la casa in inverno, impregna l’aria.
Oltre all’emergenza terremoto, ci sono difficoltà legate alle gravi carenze di strutture sociali e sanitarie. L’Armenia deve fare i conti con la sua posizione geopolitica e con il fatto di non essere più parte di un sistema più vasto – quello dell’Unione Sovietica – che sosteneva la sua economia. Allora le materie prime giungevano dalle altre repubbliche dell’Unione, venivano trasformate dalle industrie locali e il prodotto finale alimentava il mercato sovietico. Quando questa catena si è spezzata le fabbriche sono state chiuse una dopo l’altra.
Mentre consegnavamo pacchi di vestiti, pasta e olio, abbiamo ascoltato racconti angoscianti di donne e bambini, la storia di famiglie sopravvissute anche grazie alle adozioni a distanza ed all’impegno personale di padre Mario. Mi hanno colpito le condizioni in cui versano donne e bambini, la loro solitudine mentre conducono esistenze impossibili, abbandonati al loro destino dai padri e mariti che lasciano i villaggi per cercare fortuna e, spesso, nuove famiglie in Russia.
Le storie
Bambino senza sogni: un bambino quindicenne con una famiglia difficile, una vita di stenti, che mi dice di non aver mai sognato, di non avere niente da sognare.
Bambina assalita dai cani: una dodicenne attaccata da un branco di cani selvatici affamati, caduta nella neve, dilaniata con ferite spaventose che hanno compromesso parte della sua muscolatura. È stata salvata, soccorsa e curata con diversi interventi all’Ospedale Redemptoris Mater. Adottata a distanza, 8 anni dopo resta incinta, le consigliano di abortire a causa dell’impossibilità di portare a termine la gravidanza. Abbandonata dal compagno, torna in ospedale, vi resta per vari mesi dopo aver partorito.
Impazzire di dolore: una madre perde la figlia di un mese, ila sua casa è isolata e non può muoversi. Seppelisce la salma della bambina sotto pietre e terra. Il giorno dopo vede dei cani selvatici che si spartiscono le misere spoglie e impazzisce di dolore. Viene aiutata da padre Mario e da un medico dell’ospedale e dopo tre anni di cure riesce a superare il trauma.
Non è facile accettare la visione di quella miseria e tristezza.
Incappiamo in gruppi familiari prevalentemente composti da sole donne, sempre sorridenti e affabili, i bambini sono simpatici come tutti gli altri bambini del mondo, ma non ostentano gadget elettronici e non hanno giocattoli. Nessuno ci chiede la carità e nonostante le difficoltà linguistiche tutti cercano soltanto una relazione umana.
Tra i vari passaggi nei villaggi abbiamo avuto modo di visitare qualche monastero, parte di quel che rimane della storia di quel piccolo paese culla del Cristianesimo, ricco di complessi monastici e chiese in pietra che emergono tra natura e paesaggi incantevoli.
Il sud del paese, ricco di campi e frutteti, non si è ancora completamente ripreso dal terribile terremoto del 1988.
L’energia elettrica è fornita dalla criticata centrale nucleare, costruita in epoca sovietica alla porte di Erevan, in zona sismica.
Prevale l’idea che la gente intenda restare qui, per principio, per il diritto di essere cittadino alla pari di altri, per non abbandonare una ambiente naturale incontaminato dove sono vissuti per tanti secoli, fondando un notevole patrimonio religioso, culturale e artistico.
Noi
Mi chiamo Dante Caramellino faccio parte della Onlus di cooperazione internazionale e aiuti umanitari Barka Onlus, composta da persone con diverse competenze. Siamo tutti animati da umiltà e disponibilità e siamo consapevoli di non poter porre rimedio alle difficili condizioni di alcuni Paesi. Ma vogliamo semplicemente collaborare, ognuno secondo le proprie professionalità, capacità e competenze nel fornire cura e protezione a popolazioni meno fortunate di noi, ai bambini svantaggiati e a gruppi di persone vulnerabili, per migliorare il loro sviluppo fisico e sociale.
Le motivazioni che spingono a scendere in campo sono totalmente differenti.
Voler donare non solo parte del nostro reddito ma anche della nostra energia e poter dare una mano ormai è diventato possibile e facile per chiunque abbia questa intenzione.
Il nostro operato è volontario e totalmente gratuito. I viaggi sono totalmente a nostro carico così da poter assicurare ai progetti il 100% dei fondi raccolti.
Siamo impegnati in progetti umanitari in Italia, Burkina Faso ed Armenia.
Tornando in Italia a Torino, abbiamo portato una valigia piena di speranze/progetti, per alcuni dei quali la nostra Associazione si è già impegnata, altri in via di realizzazione, estesi ad una rete di amici e persone di buona volontà.
Ci siamo impegnati a finanziare per un paio di anni il mantenimento in vita di un presidio sanitario in un villaggio sperduto, gestito da una infermiera locale che provvede a vaccinazioni e alle prime cure in un avamposto isolato dal resto del mondo, per almeno tre mesi all’anno. Stiamo impostando una raccolta di abiti e calzature usate. Sono granelli in un mare di sabbia ma ne vale la pena!
FOTO: “Monastery Valley”. © Ivars Utināns. Unsplash