Le città sono costruite per gli uomini?
«Viviamo in città fatte da e per uomini che guidano e fanno i pendolari per andare al lavoro con un’auto privata», dice Izaskun Chinchilla, figura dell’architettura da anni impegnata a tracciare teorie legate al capitale femminile e alla dimensione urbana. Le città sono davvero costruite solo a misura d’uomo? Per rispondere a questa domanda si è tenuta nel pomeriggio di giovedì 3 marzo, la conferenza virtuale “Equal Cities”, organizzata dalla rete degli Istituti Italiani di Cultura di Copenhagen, Helsinki, Oslo e Stoccolma, insieme all’Ambasciata d’Italia in Svezia. L’evento, moderato da Lennart Ploom, archivista e direttore dell’Archivio della città di Stoccolma, ha richiamato un gruppo di esperte di architettura, urbanistica e genere per intavolare una discussione sull’uguaglianza.
Donne e uomini hanno esigenze diverse, usano gli spazi pubblici, gli edifici, e persino accedono ai servizi di base in modo differente. Nelle aree in cui le risorse sono più limitate, queste disparità diventano particolarmente acute, influenzando la sicurezza, la mobilità e il reddito femminile. Esiste una chiara, seppur poco nota, dimensione urbana della disuguaglianza di genere: «Uguaglianza significa anche creare architetture ugualmente usufruibili da ogni cittadino – ha spiegato Tina Saaby, dalla Danimarca, citymaker e placemaker – l’appartamento tipo che siamo abituati a conoscere, nei tipici palazzi dei tipici quartieri residenziali, sono costruiti su misura per il lifestyle della famiglia “tradizionale”, con moglie casalinga e marito lavoratore. Ora quello di famiglia è un concetto molto più ampio, diversificato e ricco: dobbiamo metabolizzare questa diversità e creare spazi nuovi che riducano diseguaglianze di genere e ingiustizie sociali».
Anche la pandemia ha costretto molti a guardare le città come ad un foglio da ridisegnare: i lockdown, obbligando le persone nelle proprie abitazioni – spesso minuscoli appartamenti in città prive di spazi verdi, -hanno reso palesi gli errori commessi negli ultimi decenni: «Le città rispecchiano un modo di vivere ormai superato e non guardano alle contemporanee necessità– ha spiegato Eleonora Carrano, architetto all’Università La Sapienza di Roma e Direttrice di Architecture & Human Rights Italia – abbiamo il dovere di chiederci come l’architettura influenzi la vita umana, specialmente alla luce dei recenti sconvolgimenti sociali: il cambiamento climatico, la guerra in Ucraina e la pandemia. L’architettura ha un ruolo nella tutela della popolazione da conflitti, catastrofi e pandemie. Il planning urbanistico e la progettazione architettonica sono strumenti della democrazia: devono alleviare le conseguenze delle emergenze, preparare le città alle difficoltà e spingere sull’uguaglianza».
Karin Carlsson della Stockholm Universit e Rebecka Lennartsson, dello Stadsmuseum Stockholm, hanno presentato il loro progetto di ricerca per la diffusione della conoscenza sugli strati intersezionali degli spazi urbani: “Gendered spaces multidimensional walks in urban history”. Dalla Finlandia è invece intervenuta Liisa Horelli, docente e psicologa ambientale ha introdotto il tema delle strategie urbanistiche inclusive anche a livello psicosociale, utilizzando i buoni esempi comunità ecologiche, comuni e forme di coabitazione già presenti nel Nord Europa. «Come immagina mia nipote una città? È questo il punto di partenza della mia teoria – ha spiegatoEllen De Vibe, architetto, urbanista e precedentemente Direttrice di The Planning and Building Services Agency (PBE) a Oslo – il planning urbano femminista deve guardare alla sicurezza, alla protezione, all’appagamento di tutti, anche dei gruppi vulnerabili. Secondo alcuni report, ancora oggi i bambini maschi giocano prevalentemente fuori casa, mentre le bambine stanno a casa di amichette. La strada è ancora patriarcale, e lo sono anche la città». In conclusione, Silvia Serrelli, Presidente dei corsi di laurea in Urbanistica e Pianificazione e Politiche per la città l’Ambiente e il Paesaggio presso l’Università degli Studi di Sassari, ha parlato della relazione tra città, cambiamento climatico, cooperazione internazionale, uguaglianza e processi migratori presentando il progetto dell’Università degli Studi di Sassari per l’integrazione di rifugiati e richiedenti asilo: «Le città inclusive devono focalizzarsi su ogni vulnerabilità: gli attuali scenari urbani, prodotti dal movimento di flussi di persone che lasciano i propri Paesi per diverse ragioni, richiede l’implementazione di strategie e azioni per contrastare disuguaglianze sociali e ingiustizie spaziali. Ridisegnando le città si ridisegnano anche il diritto all’educazione e i diritti delle donne».
La gender equality è uno dei diritti fondamentali sanciti dell’Unione Europea e uno degli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite; nonostante i progressi dell’ultimo secolo, la strada per raggiungere la parità globalmente è ancora lunga e ardua. Dare potere a donne e ragazze significa contemplare tutti i fattori che influenzano la loro esistenza quotidianamente: la possibilità di lavorare, viaggiare, passeggiare di giorno e di notte, pedalare per le strade della propria città, giocare al parco, sedersi su una panchina. Un’intera parte di popolazione non può sentirsi emarginata, insicura o limitata negli spazi che sono di diritto, anche suoi. Le città sono specchio del progresso, degli sforzi e dei mezzi impiegati dalle amministrazioni locali per contribuire al raggiungimento di un’agenda globale sostenibile ed egualitaria: lo sviluppo urbano per essere moderno, inclusivo e fiorente, deve progettare città a misura di tutti: uomini, bambini, anziani, disabili e donne; citando Chinchilla: «Certo, le città non possono essere demolite e ricostruite. Possiamo però adattarle migliorando quei servizi generali che contribuirebbero a una maggior uguaglianza di genere».