“And Then Things Got Complicated: addressing the Security-Climate-Migration Nexus in the Sahel”: pubblicato il 18 febbraio 2022 il report redatto dall’Istituto Affari Internazionali nell’ambito dell’evento collaterale Nexus25 alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco.
Sicurezza, governance, sviluppo e ambiente: il paper IAI illustra il nesso di sfide che la regione del Sahel si trova ad affrontare, criticità che si sovrappongono e intersecano in modi complessi, superando spesso i confini dei singoli stati, mentre il cambiamento climatico moltiplica rischi e fragilità.
Il Sahel e la sua vulnerabilità
La definizione del Sahel come area geografica è ancora ampiamente dibattuta: comunemente si ritiene che sia limitato all’Africa occidentale comprendendo Niger, Mali, Guinea, Burkina Faso, Nigeria e Ciad. Nella sua definizione più ampia è dimora per oltre 300 milioni di persone, di cui oltre il 70% vive in zone rurali. La regione ha subito una forte pressione demografica, con una densità di popolazione che è aumentata di oltre il 65% tra il 1970 e il 2010. Si stima che i cinque dei paesi più popolosi della regione dovrebbero raddoppiare la loro popolazione da 80 milioni nel 2018 a 160 milioni nel 2040. Circa la metà di questa numerosa popolazione trae il proprio reddito da agricoltura, pastorizia o pesca. Il Sahel è complessivamente una regione povera: l’80% delle persone vive con meno di 1,90 dollari al giorno.
In un tale contesto, gli shock climatici possono avere un impatto enorme sulla vita e sui mezzi di sussistenza delle persone. La vulnerabilità climatica del Sahel si traduce in variazioni di temperatura e precipitazioni che hanno come conseguenza sempre più frequenti calamità. Una grave siccità si è registrata nel 2010 quando l’estremo calore ha distrutto i raccolti: la carestia che ne è seguita ha colpito oltre 350.000 persone, mettendone altri 1,2 milioni a rischio fame. Contemporaneamente, anche le forti piogge si sono intensificate, causando inondazioni improvvise che hanno colpito principalmente Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ghana, Benin e Togo. Le proiezioni suggeriscono che l’intera area vedrà un aumento di circa 2,5-4 gradi entro il 2100. Un tale sviluppo supererebbe le soglie per evitare un evento climatico irreversibile, colpendo una regione dove la popolazione è fortemente dipendente dalle attività agricole e ha un accesso limitato a fonti di reddito alternative.
Condizioni ambientali progressivamente più complesse hanno causato ingenti movimenti migratori nella regione che è diventata il più importante punto di transito verso Nord: dall’Africa Sahariana al Nord Africa e attraverso il Mediterraneo all’Europa. Dal punto di vista europeo, il Sahel è diventato la principale porta d’ingresso della migrazione irregolare: il crescente volume di persone in transito ha causato la proliferazione di reti di trafficanti, esponendo i migranti a numerosi rischi. Mentre i movimenti transcontinentali sono in aumento, la migrazione rimane principalmente intra regionale, con oltre il 90% di persone che si spostano all’interno del Sahel. La dinamica di sfide cumulative tra clima e sicurezza, unitamente alla pressione demografica, ha nel tempo creato terreno fertile per i gruppi armati non statali che hanno capitalizzato il malcontento soffiando sulle divisioni etniche e regionali nella loro lotta per il controllo del territorio. Un primo esempio sono gli attacchi jihadisti di Boko Haram nello Stato di Borno, in Nigeria, o gli islamisti militanti di Ansar al-Din in Mali.
L’interconnessione tra clima, mobilità, fragilità e rischi per la sicurezza è palesemente riscontrabile – riporta lo studio IAI – nel bacino del lago Ciad: gli eventi climatici e l’uso eccessivo delle risorse hanno fatto sì che il bacino si riducesse considerevolmente, perdendo oltre il 90% della sua estensione. Con la diminuzione delle risorse, i pastori, dipendenti dai pascoli per la loro sopravvivenza, si sono spostati in aree con migliori opportunità ma storicamente utilizzate dagli agricoltori, creando così una competizione per la terra e gravi fratture etniche, tribali e religiose.
Strategie internazionali per il Sahel
La sicurezza umana nel Sahel è fortemente correlata all’incertezza alimentare, aggravata da eventi climatici imprevedibili e dalla diminuzione delle risorse. Il nesso è chiaro: l’instabilità dei mezzi di sussistenza causata dall’impatto distruttivo degli shock climatici e il loro effetto duraturo sull’economia si sovrappongono alle criticità legate ai conflitti e alle tensioni intercomunitarie. Tali questioni non possono essere affrontate separatamente, poiché si rafforzano a vicenda ed esacerbano gli eventi avversi in regioni sempre più vaste.
Il paper IAI mostra come la regione del Sahel richieda una strategia più ampia, sfaccettata e centrata sull’uomo. Le risposte politiche internazionali, secondo gli autori, hanno bisogno di essere riformate per adattarsi meglio alla complessità di clima, migrazione, mezzi di sussistenza, governance e sicurezza. Tra le criticità rilevate dall’indagine, vi sono tutti gli interventi che, nel corso degli anni, si sono concentrati sull’affrontare i problemi della regione dispiegando mezzi di sicurezza, anziché mirando alle cause alla base dell’insicurezza. Un’altra problematica rilevata nel rapporto è la mancata corrispondenza tra priorità regionali e scelte adottate dagli attori internazionali.
Recentemente, gli interventi che mirano ad affrontare con decisione e competenza la complessità delle sfide nella regione sono sempre più numerosi; la Strategia integrata delle Nazioni Unite per il Sahel (UNISS) e il piano di recupero e stabilità della Banca Mondiale, rappresentano solidi tentativi per raggiungere un approccio coordinato, multidimensionale e basato sulla comunità, affrontando le cause profondamente radicate di crisi complesse, piuttosto che i loro risultati. Anche la strategia integrata UE 2021 per il Sahel e la recente attenzione dell’amministrazione statunitense alla sicurezza climatica – interpretata come questione di sicurezza nazionale, con il riconoscimento del suo impatto su tendenze migratorie, tensioni geopolitiche, instabilità e conflitti nei paesi in via di sviluppo – rappresentano una svolta verso una lettura più sensibile al contesto della regione.
«È giunto il momento di iniziare a capire le crisi complesse per quello che sono – si legge nel report – e sviluppare strategie che includano soluzioni complete che lavorino all’intersezione tra sicurezza, sviluppo, mobilità umana e adattamento al clima.».
Per leggere il dossier completo, cliccare qui.
Fonte: IAI